LE REGOLE COME STRUMENTO DI CRESCITA
Mi trovavo su un pullman diretto a Milano. Era piuttosto affollato e
alcune persone anziane erano in piedi, stanche, affaticate, faceva molto
caldo. In fondo c’era un bambino di circa sei anni seduto in modo
scomposto che da solo occupava 3 posti. Ad un certo punto, notando
l’indifferenza della madre, un signore è insorto mostrandosi seccato
dalla situazione, ma due signore lo hanno assalito affermando: “è solo
un bambino!”.
Oggi, di fronte alla maleducazione infantile reagiamo sempre meno perché
abbiamo paura di limitare la libertà di espressione dei bambini. “Mi
dispiace troppo vederlo soffrire” dicono alcuni genitori che non se la
sentono di imporre rinunce, di proibire qualcosa, di dire un semplice
“no”.
A spiegare questi comportamenti eccessivamente permissivi vi è, spesso,
la convinzione che accondiscendere a tutti i desideri del figlio sia un
modo di rispettare la sua autonomia. In realtà, ciò che viene trasmesso,
è un segnale di indifferenza e, lasciato a se stesso, il bambino trova
naturale seguire i suoi impulsi, senza badare alle conseguenze, convinto
che agli altri in fondo non interessi nulla se si comporta in un modo
piuttosto che in un altro. Il bambino, con i suoi comportamenti
ostinati e disubbidienti, cerca di capire fino a che punto può spingere
la sua volontà di “avere tutto e subito” e, in questi momenti, è alla
ricerca di un limite, di qualcuno che gli insegni cosa è giusto e cosa è
sbagliato, di un “no” fermo e preciso, che solo l’adulto può fornirgli.
L’idea che “amare un bambino significhi concedergli tutto” è nata,
probabilmente, come reazione all’autoritarismo che ha a lungo imperato
nelle generazioni passate, in cui le volontà dei figli dovevano essere
represse per essere conformate a doveri e a regole che non tenevano
conto della loro personalità e dei loro bisogni. Giustamente demonizzato
per le conseguenze negative che provocava sullo sviluppo psicologico, lo
stile autoritario è stato abbandonato a favore di uno stile che doveva
essere più rispettoso nei confronti dei figli, ma che si è, poi, in
realtà, tradotto in un permissivismo altrettanto dannoso per la crescita
psicologica, perché favorisce nei bambini la negazione dell’esistenza
dell’altro e delle regole di vita, alimentando la maleducazione e un
illusorio senso di onnipotenza. Frequente è, oggi, trovare in alcune
famiglie la figura del “bambino re” che trionfa sui genitori e li
comanda come se fossero suoi sudditi, rancoroso di fronte alla minima
frustrazione. Il rischio è che, il bambino, non abituato a confrontarsi
con l’esperienza del limite dentro casa, può trovarsi, successivamente,
impreparato a confrontarsi con una serie di limiti imposti fuori casa,
per esempio nel rapporto con gli altri, all’asilo e a scuola. E
incontriamo, così, un “bambino difficile”, oppositivo, sempre in lotta
contro tutto e tutti. O al contrario ritirato in se stesso, schivo, che
non prende nessuna iniziativa per l’incapacità di prevedere le reazioni
degli altri.
Un equilibrio tra autoritarismo e il permissivismo non è facile da
trovare, ma se i genitori intervengono, rispondendo in modo fermo e
ragionevole di fronte ai comportamenti più o meno sbagliati del figlio,
quest’ultimo sarà disposto ad interiorizzare i loro atteggiamenti,
comportandosi, di conseguenza, in modo più ragionevole. Si incoraggiano,
così, l’adattamento e la convivenza sociale, il rispetto degli altri e
uno sviluppo equilibrato della personalità, che renderà, a sua volta,
possibile tollerare le frustrazioni e superare gli ostacoli della vita,
man mano che crescendo il bambino si troverà ad affrontare il mondo
esterno e le sue regole.
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